A 25 anni dalla prima edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina vogliamo raccontarvi alcuni momenti di questa avventura: quelli che ci hanno più divertito e commosso, quelli da cui abbiamo imparato, quelli che ci hanno permesso di scoprire mondi e autori oggi sulla bocca di molti e allora sconosciuti. Le nostre voci principali sono quelle di Annamaria Gallone e di Alessandra Speciale, le due direttrici artistiche.
Invitiamo tutti a unirsi a noi in questo racconto collettivo, forse il primo realizzato da un festival di cinema, mandando un messaggio a festival@coeweb.org e indicando nell’oggetto “io c’ero“.
1997: In giuria abbiamo Alain Robbe-Grillet, noto scrittore e regista francese e France Zobda, nota attrice di cinema e di teatro. Poi Annette Mbaye D’Enerville, espressione dell’Africa scritta al femminile: senegalese, sceneggiatrice, femminista e prima giornalista africana donna. Non poteva essere che lei ad aggiudicarsi il nostro premio alla carriera! Poi Carlo di Carlo, assistente di Antonioni e Pasolini, Roberto Ciccutto, produttore di notevoli film italiani e fondatore della Mikado, prima casa di produzione aperta alla cinematografia meno tradizionale…
La settima edizione ci vede soprattutto impegnati nella retrospettiva sull’Angola (il cinema lusofono) e nella sezione dedicata alla Commedia: Africa Felix. La commedia è un genere snobbato dai festival e dai registi, perchè considerato minore. Noi troviamo delle piccole “chicche”, recuperando le commedie egiziane degli anni ’50. Scopriamo ad esempio la serie dedicata alla coppia Matamata e Pilipili (sorta di Stanlio e Ollio), irresistibili nelle loro gag. Si tratta di una serie girata da un missionario belga in Congo, per la quale i bambini congolesi andavano matti e pur senza la televisione in casa, si ammassavano per seguire le proiezioni all’aperto che si tenevano nei villaggi.
Decidiamo di presentare la prima commedia africana sul tema della poligamia “Bal Poussière” di Henry Duparc, ivoriano. Il tema è difficile ma affrontato in modo allegro. In questa edizione Alessandra Speciale conosce Fatou N’diaye, attrice senegalese pressochè sconosciuta, che cerca fortuna in Italia ed Alessandra accoglie sul suo divano di casa per un anno e mezzo. Riesce a rimediare dei ruoli dignitosi (con Monicelli ad esempio) pur senza arrivare al vero successo.
Se ripensiamo alla selezione lusofona, non possiamo dimenticare “Nelisita” suggestivo film in bianco e nero di Rui Duarte, etnologo, antropologo, studioso di altissimo profilo che realizza una fiction a partire da una fiaba della tradizione orale del sud dell’Angola. Il ricorso al bianco e nero accentua la dimensione onirica del film e permette a Duarte di regalarci una metafora chiara dello scontro in atto tra la cultura africana tradizionale e quella moderna.
Nel 1998 in giuria tra gli altri: Sergio Rubini e il miliardario produttore televisivo cinese Mr. J Sun, che si stupì della nostra “povertà” aspettandosi di trovare da noi un improbabile contesto hollywoodiano. Anche l’attore marocchino Said Taghmaoui – da ragazzo di strada a famoso protagonista del film francese “La haine” (una carriera folgorante) – era in giuria. Era l’ottava edizione, quella delle primizie: il primo film girato in Cina da un regista africano, il primo film del Sudafrica girato da un regista nero, il primo film di un autore algerino interamente prodotto dalla televisione italiana, il primo film di un cineasta francofono girato in lingua inglese… Un fermento di novità, ma soprattutto, ancora una volta, al di là dell’intrinseco valore artistico, l’incontro con la cinematografia delle Afriche continua ad essere per noi uno strumento culturale di mediazione delle varie forme di integrazione possibile, nel rispetto delle differenze.
Nel 1998 torna da noi Gaston Kaboré con “Buud Yam”, film che quello stesso anno aveva portato il regista al massimo riconoscimento del FESPACO: l’Etalon de Yennenga. Torna anche Idrissa Ouédraogo con “Kini & Adams”, primo film girato con attori africani direttamente in lingua inglese. Annamaria Gallone aveva seguito il regista sul quel set l’anno prima divertendosi moltissimo: “Idrissa è un uomo divertente e ridanciano e le riprese terminavano tutte le volte in un bar di puttane e la giornata finiva in grandi bevute. Possiamo dire che tanto Kaboré è serioso quanto Ouédraogo è leggero, simpatico e divertente fin dalla relazione che stabiliva con tutti i suoi attori. “Idrissa non perde la sua indole di ragazzo indisciplinato e sopra le righe, ma mentre gira è un dio, un vero talento naturale” dice Annamaria. La cosa più triste è che dal 2003, dopo il rifiuto del Festival di Cannes del suo “La colère des Dieux”, ha smesso di fare film e non si è più ripreso”. E’ tornato in Africa ed è finita la sua grandezza.
Da segnalare nella stessa edizione la presenza di “Taafe fanga” di Adama Drabo, scomparso prematuramente. Avevamo visto questo film al FESPACO, si trattava di una commedia ispirata a una leggenda dogon. Narra di come un giorno le donne si servirono delle maschere sacre per impossessarsi del potere e invertire i ruoli nella società: uomini costretti a sottomettersi alle dure corvè e a un codice umiliante e sottomesso, e donne coi pantaloni che si riuniscono a chiacchierare e a bere birra. La confusione tra i generi fino al travestimento danno vita a gag irresistibili.
E’ anche l’anno in cui presentiamo “L’albero dei destini sospesi” di Rachid Benhadj, primo film algerino prodotto interamente dalla Rai e dalla Filmalbatros di Marco Bellocchio. Said Taghmaoui (La haine) interpreta qui un ragazzo arabo, musulmano, osservante e sottomesso, immigrato in Italia, con grandi difficoltà di adattamento. Quanto di più lontano dalla vera vita dell’attore che mangiava e beveva quantità inesauribili di carni (di maiale) ed alcol!
Vediamo i primi passi di una nuova generazione di giovani registi che oggi sono presenti in tutti i Festival cinematografici più importanti a livello internazionale: Nabil Ayouch, osannato al Festival di Cannes nel 2013 per il suo “Les cheveux de dieu”, nel 1998 presentò da noi “Mektoub”. Come sempre avevamo visto giusto!
Annamaria Gallone, in quel periodo in Cina, riesce ad organizzare un Festival di Cinema Africano a Pechino e invita Joseph Kumbela, che decide di realizzare un corto e si piazza a casa sua. Nasce così “Feizhou Laoway” (Lo straniero venuto dall’Africa), presentato poi al festival di Milano e a tanti altri, per l’originalità del soggetto. Da allora Joseph insiste perché Annamaria gli produca un film da realizzare nuovamente in Cina…
Nel 1999 abbiamo in giuria 2 registi notissimi: Mira Nair e Jafar Panahi. Conosciamo Mira in Sudafrica dove viveva in quegli anni. Malgrado le sue origini indiane e i suoi studi ad Harvard è molto calata nella cultura africana. 2 anni dopo vincerà il Leone d’oro a Venezia con Monsoon Wedding, ma nel ’99 è già famosissima. Jafar, che ha vinto l’Orso d’oro alla Berlinale di quest’anno con il film Taxi, quando viene da noi è un emergente: ha vinto il Pardo d’Oro a Locarno, ma non ha ancora vinto il Leone d’oro a Venezia con “Il Cerchio” (2000). Oggi, come noto, è in prigione in Iran. “Mi aveva proposto di produrre “Il cerchio” sospira Annamaria “gli ho risposto negativamente e potete immaginare quanto mi sia pentita…”
Insomma 2 primedonne. Panahi contestò la selezione di quell’anno, ma capimmo che si trattava di una presa di posizione priva di fondamento. Avevamo presentato il primo lungometraggio di A. Sissako “La vie sur la terre”, un film bellissimo, di grande poesia. Avevamo lavorato bene. E da questo film abbiamo tratto una frase che per noi è diventata un dogma: “La communication c’est une question de chance”.
Per motivi affettivi non vogliamo dimenticarci di segnalare che nel 1999 abbiamo anche presentato “African Violet” del grande fotografo africano Koto Bolofo.
(Alessandra Speciale e Annamaria Gallone)