A 25 anni dalla prima edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina vogliamo raccontarvi alcuni momenti di questa avventura: quelli che ci hanno più divertito e commosso, quelli da cui abbiamo imparato, quelli che ci hanno permesso di scoprire mondi e autori oggi sulla bocca di molti e allora sconosciuti. Le nostre voci principali sono quelle di Annamaria Gallone e di Alessandra Speciale, le due direttrici artistiche, che domani 5 maggio al Festival Center incontreranno il pubblico per rivivere di persona di fronte a un tè tutta la storia del Festival.
Invitiamo tutti a unirsi a noi in questo racconto collettivo, forse il primo realizzato da un festival di cinema, mandando un messaggio a festival@coeweb.org e indicando nell’oggetto “io c’ero“. Rivivete qui tutta la serie Io c’ero.
La 19 edizione nel 2009 è quella segnata dall’elezione negli USA del primo presidente afro-americano. Apriamo il nostro catalogo e il nostro festival con OBAMAMANIA e raccontiamo grazie alle riflessioni di Al Jazeera come Barak Obama potrebbe cambiare i rapporti dell’Occidente con il mondo arabo.
Nella giuria del Festival c’è Darezhan Omirbayev, regista ed importantissimo esponente del cinema del Kazakistan, a cui dedichiamo un Omaggio. Valeria Golino è la madrina del Festival ed è la prima vera star italiana che ci raggiunge emozionata sul palco. Dopo di lei seguiranno negli anni successivi: Isabella Ferrari, Maria Sole Tognazzi, Monica Guerritore.
Nel 2010 inizia la collaborazione con Feltrinelli, che porterà Inge in giuria e “Razzismo brutta storia” nella nostra programmazione come sezione trasversale che riunisce tutti i film che raccontano le varie forme razzismo in ogni parte del mondo.
Parte una bellissima e importante collaborazione con l’International Film Festival di Rotterdam, con il quale lanciamo la sezione speciale “Forget Africa”. Il concept degli olandesi è legato alla produzione di film nati dallo scambio creativo tra registi e paesi distanti tra loro, fuori da ogni cliché: filmmaker innovativi ad esempio si trasferivano in Africa a filmare insieme ai giovani registi africani. “Forget Africa” permette la sperimentazione creativa e artistica fuori da ogni stereotipo e lo scambio è formidabile. Come formidabile infatti sarà – tra i tanti – uno dei film di questa sezione: “Sarah and Omelga”, nato dall’incontro tra Malesia e Sudafrica.
Il 2010 è l’anno dei Mondiali di calcio in Sudafrica. Celebriamo l’evento con una mostra fotografica e una sezione dedicata: “L’Africa nel pallone”. E’ una bella sezione, ne siamo orgogliose, ma ricordiamo soprattutto il fatto che per la prima volta riusciamo a portare allo Spazio Oberdan gente che non ne conosceva l’esistenza: i tifosi interisti fanno la coda per vedere Eto’o. Rispolveriamo dei classici come “Le ballon d’or”: il sogno di un bambino di diventare calciatore.
Invitiamo il film sudafricano “More Than Just a Game”, che narra – alternando interviste, immagini d’archivio e fiction – la storia di 5 attivisti politici rinchiusi a Robben Island dal regime dell’apartheid che riuscirono a resistere alla loro prigionia creando una squadra di calcio in cui sfogare passione ed energie. Uno di loro ci raggiunge a Milano per raccontare la sua storia.
Sempre con l’International Film Festival di Rotterdam, nel 2011 presentiamo la sezione speciale “Raiding Africa”. L’idea di quest’anno dell’IFFR è di selezionare 7 giovani talentuosi registi africani tra quelli che avevano partecipato all’esperienza di “Forget Africa” l’anno prima, proponendogli questa volta di essere loro a spostarsi a Pechino. Un altro mondo. Ma anche grande entusiasmo alla prestigiosa scuola cinese di cinema indie che li avrebbe ospitati con alcuni mentori d’eccezione ad osservare il loro lavoro. Che bello!
Da questa esperienza nascono 7 corti. Ci viene in mente “Fire Fly” : bellissimo. O “Love born of Chopsticks”: indimenticabile (link a pag 113 del catalogo). Omelga Mithiyane realizza un corto su se stessa dal parrucchiere cinese in crisi davanti al suo capello crespo africano. Esilarante. E “The snake” il corto del giovane artista ugandese girato tutto ad altezza di serpente? Punto di vista inusuale, cosa dite?
E cosa possiamo dire di Emile-Aimé detto Ancestor che si compra un cappello da orso da sfoggiare praticamente ovunque? A Milano, a Rotterdam, a Pechino…Tutte le volte che lo incontriamo lo indossa! Ma l’evento speciale del 2011 è: “Segnali da una rivoluzione contagiosa”: primissime testimonianze dalla primavera araba a un mese dalla rivolta. Arrivano molti amici, come il regista tunisino Nouri Bouzid e organizziamo una tavola rotonda sulle rivoluzioni nei paesi arabi.
Alla 21° edizione del Festival apriamo le porte alla commedia e al cinema popolare, un genere che abbiamo frequentato poco ma che ci riserva belle sorprese. Con “E tutti ridono…”, questo il titolo della sezione realizzata in collaborazione con Zelig, scopriamo una commedia panamense divertentissima: “Chance”, che nel suo paese ha battuto gli incassi di “Avatar” e che rappresenta la rivincita delle colf…
Un’altra commedia che nel 2011 si guadagna “paginate” sul quotidiano La Repubblica è: “Tere Bin Laden”. Racconta la storia di un ragazzo indiano che incontra il sosia di Bin Laden, la cui occupazione è allevare polli. Il ragazzo cerca di sfruttare a suo favore questa somiglianza, attirando l’attenzione della CIA e dei Servizi Segreti di tutto il mondo (Bin Laden non era ancora morto). Una simpatica comicità demenziale che fa del film il campione di incassi in India.
Nel 2012 in giuria, insieme a Marco Bechis, c’è Ou Ning: artista eclettico, curatore della Biennale di Architettura. Porta da noi il suo documentario bellissimo sugli antichi quartieri cinesi distrutti dalle grandi opere volute dal Governo centrale. Dedichiamo molto spazio alla Cina con la retrospettiva “Ombre digitali”: film indipendenti cinesi dell’ultima generazione. Guo Xiaolu vince il Premio del Pubblico con il film “UFO in Her Eyes”.
Nel Concorso Documentari presentiamo il keniano “Twende Berlin”, simpaticissimo film in cui un supereroe dell’amore con la testa a forma di cuore, Upendo Hero, deve compiere la missione di salvare gli spazi urbani e popolari dalla gentrification. Un eroe africano che si batte per noi! E incredibilmente nella serata di chiusura del Festival veniamo invasi a sorpresa dai soldati di Upendo che, con la loro testa a cuore, vengono a salvarci…
Nella 23°edizione (2013) troviamo che sia un imperativo dedicare la Casa del Pane a una mostra di opere di artisti siriani. “Creative Syria” è sulle varie forme di resistenza del popolo di quel paese e riscuote un successo enorme. I mega stencil vengono creati su grandi teli che noi poi appendiamo all’esterno del Festival Center. Le forze dell’ordine ci fanno visita… Ci hanno preso per un Centro Sociale.
Uno degli artisti siriani, Kevork Mourad, durante il periodo del Festival ci regala performance straordinarie e ci lascia un meraviglioso murales su una parete del Festival Center. Ricordiamo l’incanto della gente ipnotizzata dalla musica che accompagna Kevork mentre trasforma la parete grigia in un’opera d’arte.
“Percorsi del sacro” è la retrospettiva dedicata nel 2013 alla necessità dei padri di raccontare ai propri figli i viaggi in Africa negli anni ’70 alla ricerca di una spiritualità diversa. Voglia di trasmettere passione, entusiasmo, memoria, emozioni…
“Films that Feed” viene inaugurata nel 2013. E’ la sezione dedicata al cibo e alle tematiche dell’Expo. Inauguriamo il nostro primo succulento “Cinechef” e ricordiamo il piacere di “Jiro Dreams of Sushi”, dedicato all’universo culinario e filosofico giapponese, e “Perù Sabe: la cocina arma social” frutto di métissage di tradizioni e culture. Anziché sognare di diventare giocatori di calcio, oggi molti giovani peruviani cominciano a sperare di affermarsi come chef. Noi, in sala, aspettiamo i bravissimi chef gourmet con le loro prelibatezze da assaggiare.
L’anno scorso. La 24 °edizione. Il 2014. Questa edizione del Festival è segnata da grandi difficoltà economiche, che ci costringono a tagli sulla programmazione quasi invisibili per il grande pubblico, ma che a noi costano grande fatica. Ci accompagna la mostra “One day in Africa”: ventiquattro ore nella vita del continente vero.
(Alessandra Speciale e Annamaria Gallone)