LES CLASSES MOYENNES EN AFRIQUE
di Joan Bardeletti
In collaborazione con Marie Claire, il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina presenta, per la prima volta in Italia, in un’unica mostra tre opere del fotografo Joan Bardeletti: Les Classes Moyennes en Afrique, Afro Food… for Thought: Afrique du Sud e cinque video che fanno parte del progetto Les Grands Moyens.
Les Classes Moyennes en Afrique è un progetto di fotografia e scienze sociali durato tre anni (2008-2011) che ha portato l’autore insieme un’equipe di ricercatori dell’Università di Bordeaux (Sciences Po Bordeaux – Laboratorio Les Afriques dans le monde) a viaggiare per tutta l’Africa realizzando quaranta immagini, tra Senegal, Etiopia, Costa d’Avorio, Mali, Ghana, Uganda, Mozambico e Sudafrica. L’immagine del continente africano è cambiata molto negli ultimi anni, passando dal continente della sofferenza (hopless continent) a quello della nuova frontiera e della rinascita. La mostra racconta questa nuova Africa, nella quale convivono, in un ambiente essenzialmente urbano, la povertà estrema e l’opulenza dei ricchi”, ben poco numerosi; tra questi due estremi, il blocco di “quelli di mezzo”, i “né ricchi né poveri”, che sfruttano il loro ingegno per partecipare direttamente alla mutazione in corso. Le fotografie ritraggono la vita quotidiana, le speranze e frustrazioni di questi numerosi “invisibili”, portatori di nuove dinamiche sociali, economiche e politiche, e al tempo stesso sottomessi a una tensione permanente per “sbarcare il lunario”, migliorare la loro sorte, assicurare un futuro migliore ai loro figli e sanare il conflitto tra le tradizioni sociali e la vita moderna. Il lavoro di Bardeletti racconta l’eterogeneità di questa “classe media”, espressione che per comodità mediatica raggruppa individui con reddito e stile di vita eterogenei, che cambiano anche a seconda delle generazioni. Diversi sono i consumi, le attività svolte, le abitazioni, le pratiche per il tempo libero, il lavoro, l’educazione e le pratiche religiose di questo movimento di massa quasi sotterraneo.
La mostra è prodotta da Sciences Po Bordeaux – Laboratorio Les Afriques dans le monde, Agenzia francese per lo sviluppo, Consiglio Regionale d’Aquitaine, Delegazione agli affari strategici, Ministero francese della Difesa, Ministero francese degli Affari esteri ed europei.
Afro Food… for Thought: Afrique du Sud: prodotto da Collateral Creations, è un vero e proprio on the road fotografico all’interno della classe media nera di Johannesburg, che ha come filo conduttore il cibo. Bardeletti ha seguito alcuni esponenti della classe media sudafricana cresciuti nelle townships che si spostano ora tra i nuovi quartieri residenziali, simbolo della loro ascesa sociale, e i quartieri della loro infanzia.
Les Grands Moyens: prodotto da Joan Bardeletti insieme a Investisseurs & Partenaires, è un progetto multimediale che indaga in cinque tappe (Senegal, Nigeria, Benin, Mauritania, Madagascar) l’universo delle piccole e medie imprese africane. Il progetto propone una visione inedita del continente africano, attraverso l’esplorazione delle sue piccole e medie imprese. Video, fotografia e ricerca per dimostrare come le PME Africane favoriscano lo sviluppo del continente. Al Festival Center è possibile visionare i video realizzati sulle seguenti medie imprese: CDS , Mauritania (Attrezzature), Agrisatch, Benin (Agro-business,) IOT, Madagascar (Acquacultura) / NEST, Senegal (Salute) / Wecyclers, Nigeria (Ambiente e riciclo materiali).
Joan Bardeletti. Dopo una laurea in ingegneria, dal 2006 si dedica alla fotografia, unendosi all’agenzia di fotografia partecipata Picturetank. A partire dal 2008 è impegnato in un lavoro a lungo termine sulle nuove Afriche. Nel 2011 fonda Collateral Creations, una piattaforma di produzione che mette insieme fotografia d’autore e ricerca sociologica. I suoi lavori sono pubblicati regolarmente sulla stampa nazionale e internazionale: Libération, Le Monde, Jeune Afrique, Géo, Marie Claire, Newsweeks, L’Espresso, Die Zeit, tra gli altri.
#Thousandpeople
di Emanuele Timothy Costa
Cogliere le diversità che passano inosservate, percepire l’essenza nascosta in ogni sguardo, scoprire che dietro ogni singola ruga si cela una storia affascinate, misteriosa, pulsante di vita e di passione. Proprio da qui nasce il progetto di Emanuele Timothy Costa: rappresentare la bellezza, l’unicità e il valore della diversità attraverso i volti delle persone.
Un percorso ideale in cui ogni ognuno rappresenta il tassello di un unico mosaico, quasi come una pennellata irriconoscibile singolarmente ma che insieme alle altre genera un disegno unitario e perfetto. Il cuore pulsante di #Thousandpeople sono le persone, le loro anime e i loro sguardi cristallizzati in un unico istante senza tempo. Dall’avvocato al vagabondo, dalla casalinga alla manager, dal bambino al turista: un magnifico viaggio tra la multietnicità, la valorizzazione della diversità, la commistione di culture e l’uguaglianza.
Ma anche gli spettatori diventano protagonisti unici e possono vivere in prima persona l’esperienza #Thousandpeople. Costa e lo staff di Tstudio.tv, infatti, possono partecipare direttamente alla mostra, presenziando in prima persona con Elettra4T, un sistema di luci, progettato e creato da Timothy che consente di avere immagini senza ombre che riescono a catturare e fissare il soggetto estrapolandone la bellezza autentica. I visitatori della mostra possono, quindi, diventare parte integrante di #Thousandpeople e farsi ritrarre all’istante, sul posto, con il sistema Elettra4T.
Emanuele Timothy Costa. Nasce a Genova il 26 Gennaio 1977. A 26 anni si trasferisce a Londra e inizia a viaggiare: dall’Iraq al Kosovo, dai Balcani a Montecarlo, dall’Afghanistan al Sudan, dal Kuwait a Dubai. Tornato a Genova, nel 2013 crea il gruppo creativo Tstudio.tv.
Il primo e più importante progetto realizzato è #thousandpeople. La mostra, in collaborazione con il Comune di Genova, è stata in esposizione dal 17 novembre 2014 al 17 gennaio 2015 nella loggia della mercanzia di Piazza Banchi, attirando oltre 20.000 visitatori.
Land Grabbing or Land to Investors?
Alfredo Bini
di Gigliola Foschi
Dopo il Visa pour l’Image di Perpignan, il Brooklyn Photoville Festival e China Pingyao International Photography Festival, il lavoro di Alfredo Bini Land Grabbing or Land to Investors? viene ora presentato a Milano, presso il Centro Culturale San Fedele, proprio nel periodo dell’Expo. Il termine land grabbing (“terra carpita, accaparrata”) è stato introdotto nel 2008 dalla ONG GRAIN (Genetic Resorces Action International) e si riferisce all’acquisto imponente di milioni di ettari di terreno nei paesi poveri da parte di multinazionali dell’agribusiness, di potenti gruppi finanziari o di agenzie governative straniere. Il land grabbing si presenta come un’ultima versione del neocolonialismo, che priva della loro terra i pastori e i piccoli coltivatori locali, oltre a comportare l’abbattimento di foreste e il sequestro delle zone di pascolo, l’erosione del suolo, l’accaparramento dell’acqua e la perdita della biodiversità.
Ebbene, la ricerca di Alfredo Bini – che si è concentrata, a titolo d’esempio, sull’Etiopia, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi – ha voluto documentare tale complessa e problematica realtà attraverso un’indagine approfondita, in cui la fotografia, accompagnata da ampi testi esplicativi, si nutre di uno sguardo lucido, proteso a comprendere le cause e lo sviluppo di questo fenomeno. Le sue immagini, simili a precisi tasselli, mostrano infatti la distruzione in Etiopia delle foreste e dei pascoli, per fare posto a serre e a campi destinati alle palme da olio e alla canna da zucchero, per poi spingersi fino a Dubai e in Arabia Saudita, dove vengono esportati i vegetali prodotti in Etiopia nelle terre divenute proprietà Saudita.
In un caso come quello del land grabbing, la sfida a cui un fotografo si trova di fronte diventa sottile e difficile. Non ci sono eclatanti eventi tragici da raccontare: il land grabbing è un processo strisciante e pervasivo. Ben consapevole di queste difficoltà, Alfredo Bini si è dimostrato all’altezza della sfida. Ha deciso infatti di accompagnare le sue immagini con una serie di precise informazioni che ci permettono di cogliere tutta la gravità del fenomeno in corso. Leggendo e insieme guardando, ci rendiamo conto infatti che dietro situazioni agresti fintamente “idilliache” si cela invece l’esproprio della terra nei confronti di comunità indifese, in quanto prive dei necessari documenti scritti per attestare il possesso della terra; si apre la strada a un utilizzo privato dell’acqua che penalizza le popolazioni locali; si disgrega l’agricoltura tradizionale, basata sulla diversificazione, per favorire una monocultura pensata solo per l’esportazione. Ecco dunque che cos’è il land grabbing – ci dice Alfredo Bini: una devastante politica alimentare basata sull’accaparrare la terra altrui.
Alfredo Bini è un foto-giornalista freelance. Il suo lavoro, che è pubblicato dalle più importanti media internazionali, è spesso utilizzato come materia di dibattito durante conferenze, programmi televisivi e festival. È esposto e proiettato in musei, gallerie e università. Transmigrations, progetto sul viaggio dei migranti africani attraverso il deserto del Sahara, vince molti premi ed è esposto in festival di tutto il mondo e in mostre personali. Libyan Uprising, reportage sul primo mese della rivoluzione in Libia, comprende molte foto dell’assedio di Misurata che sono state pubblicate sulla stampa internazionale. Land Grabbing or Land to Investors? è selezionato al Festival Visa pour l’Image di Perpignan, al China Pingyao International Photography Festival e al Brooklyn Photoville Festival e nel 2014 è diventato un documentario.
La Cina in tavola: cinema e cibo nella cultura cinese
L’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano partecipa anche quest’anno al Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina con una serie di iniziative. Per tutta la durata del Festival saranno presenti alla Casa del Pane (Zona Porta Venezia), oltre che con materiale informativo sui loro corsi e le loro iniziative, con una mostra multimediale che ha come tema la cultura cinese del cibo: La Cina in tavola: cinema e cibo nella cultura cinese, una mostra multimediale dedicata alla cultura cinese del cibo: si va dalla storia dei ricettari cinesi che risalgono al V secolo d.C. al cibo nei film cinesi, un binomio molto frequente e sentito nel Paese di Mezzo.
L’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano fa parte di una rete mondiale di più di 430 centri sparsi in 113 stati (13 in Italia) ideata per promuovere e diffondere la lingua e la cultura cinesi attraverso l’accordo tra prestigiose università cinesi e straniere. L’Istituto nasce dalla collaborazione dell’Università degli Studi di Milano con la Liaoning Shifan Daxue (Liaoning Normal University) e l’Ufficio per la diffusione della lingua cinese nel mondo (Hanban) di Pechino.
Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano, Piazza Montanelli, 1 Sesto San Giovanni
Telefono: 0250321675 info.confucio@unimi.it
www.istitutoconfucio.unimi.it
IL GUARDIANO DEI CIELI
di Cesare Gozzetti
Dimensioni: cm 216 x 190
Tecnica: OLIO SU TELA
E’ ancora il mito, il motore creativo che plasma il sogno dell’artista in una visione psichica parallela alla sua realtà quotidiana. C’è la proiezione epica di una stirpe di nuovi eroi e spiriti, dove il guardiano (l’artista creatore) rappresenta il pastore, lo sciamano che cerca di condurli nel bovile della sua coscienza. Il linguaggio pittorico rimanda sì, ai segni e ai simboli dell’umanità nomade ed arcaica di matrice indoeuropea, ma l’unicità della poetica di Cesare Gozzetti, è quella di unire all’immagine del quadro, il gesto del “fare azione”, di porre il cibo sotto la pittura, così che il fatto votivo sia un ipotetico rituale nel “dare” fisicamente alle bocche degli astanti ciò che i loro occhi vedono. “Il Cibartista” Cesare Gozzetti si investe di un’esperienza totalizzante nella sua performance. Quella di realizzare il “banchetto – altare” con una fondante funzione antropologica. Il cibo come “ESSERCI”, esistenza, è non solo la cucina stellata o il food-design della comunicazione post-moderna, ma piuttosto in Cesare Gozzetti c’è la gioiosa polemica e la pirotecnica coloratissima invettiva contro una cultura gastronomica estetizzante e gaudente. Quindi l’opera esposta è l’immagine, l’ombra spirituale della fisicità dell’altare che offre ristoro a noi astanti, esuli e migranti nell’Odissea dell’esistenza.