“Where Future Beats”
Casello Ovest di Porta Venezia – 19-26 marzo 2017
Mostra fotografica presentata dal LagosPhoto Festival e curata dal direttore e fondatore Azu Nwagbogu e da Maria Pia Bernardoni, curatrice del festival e dell’African Artists’ Foundation.
Dove guadiamo oggi per capire cosa succederà e dove stiamo andando? Si dice che quando ti perdi dovresti tornare sui tuoi passi per ritrovare la strada di casa. L’Africa è il luogo in cui tutto è cominciato, la storia dell’umanità ha le sue origini in questo vasto continente. Oggi è anche il luogo in cui cercare i segnali e le avvisaglie di quello che diventeremo. Ma soprattutto il luogo da cui prendere ispirazione per il futuro, per ritrovare l’energia e l’entusiasmo di creare e rinnovarsi. Per imparare, o meglio re-imparare, ad essere comunità, a coltivare legami interpersonali profondi e duraturi. Per superare la fascinazione verso oggetti falsamente innovativi perché lievemente alterati o modificati, che li fa apparire indispensabili e ci spinge a sbarazzarci di quelli vecchi, perfettamente funzionanti. In Africa tutto si aggiusta, niente va sprecato e nessuna buona idea è mai troppo difficile o impossibile da realizzare. È un paese che continua a ricercare e reinventare la propria identità, trovando nuove soluzioni e approcci innovativi in ogni aspetto dell’esistenza.
L’espressione artistica africana è in totale sintonia con questa energia creativa, e i fotografi ne sono i principali interpreti: manipolando e reimmaginando il linguaggio visuale hanno dato vita ad una fotografia istintiva, intuitiva e originale. Come Joana Choumali, che con i suoi raffinati ritratti di donne moderne ed emancipate, che hanno indossato davanti al suo obiettivo gli abiti tradizionali delle proprie antenate, ci parla dei legami invisibili che uniscono donne di generazioni diverse.
Artisti selezionati:
DAVID UZOCHUKWU
Nato nel 1998 ad Innsbruck, Austria. E’ un artista visuale austro-nigeriano e vive a Bruxelles. Il suo lavoro spazia dalle belle arti alla ritrattistica, spesso cercando di unire bellezza e tragedia nella cornice dell’ultraterreno. Autodidatta, all’età di tredici anni David si dedica agli autoritratti, scoprendo così il suo amore per l’arte figurativa emozionale. Durante gli anni del liceo realizza lavori che si fanno notare da BBC Brazil, i-D Online e Instagram. Nominato fotografo dell’anno da Eyem nel 2014 e uno dei “20 under 20” da Flickr, David conta tra i suoi clienti Adobe Photoshop e l’Opéra National di Parigi. La sua serie “A familiar ruin” è stata esposta al BOZAR come parte dello show di gruppo “Dey Your Lane” nel giugno 2016.
Giving Way
Basato sull’iconico lavoro di Chinua Achebe “Il crollo” e sul suo romanzo “Ormai a disagio”, la serie “Giving Way” vuole cogliere, da entrambe le opere, elementi di incertezza, confusione e caos: questi elementi a volte sono le conseguenze dell’arrivo dei missionari nei villaggi Igbo, che ne violano l’integrità; altre volte, sono il risultato dell’instabilità sociale e di aspettative troppo elevate di cui un giovane Igbo è oggetto, e che ne causano la corruzione.
Entrambe le storie si concentrano sull’esperienza Igbp – “Il crollo” si svolge durante la “pacificazione” degli Stati, “Ormai a disagio” è ambientato dieci anni prima dell’indipendenza della Nigeria – e ritraggono con colori vividi lo scontro tra la cultura Igbo e il colonialismo, tra la tradizione e la Cristianità. Lo scontro iniziale fra missionari e nativi è messo in parallelo con le fratture che si creano oggi tra gli abitanti e tra le generazioni.
KEYEZUA
“Io sono Keyezua, una storyteller che usa l’arte come mezzo di comunicazione che esprime più di quanto le mie parole potranno mai fare. L’arte provoca, educa e rende potenti, senza pietà. È un mezzo potente ed è nelle mani della nostra generazione: per rendere gli artisti parte integrante dello sviluppo della cultura, dell’economia, del femminismo e dello sviluppo autonomo dell’Africa. Ciò che mi mette a disagio nella nostra società , al tempo stesso mi aiuta a creare un’opera d’arte che merita di esistere: quando non sono soddisfatta di una situazione, che riguarda i diritti umani, si crea una rivoluzione nella mia testa e allora creo. Grazie alla tecnologia, catalizzatrice di cambiamento, chiunque può formarsi e proporsi come artista, ma non tutti sono disposti a usare l’arte per combattere una causa o per provocare e reclamare un cambiamento intellettuale. Noi, donne, non possiamo fare arte solamente per creare qualcosa di bello e appenderlo con successo a un muro di casa, o in un museo. La nostra arte necessita rispetto, dibattiti, confusione ed esperimenti con la tradizione. Io sono Keyezua”.
Royal Generation
Il progetto fotografico mostra l’immagine di giovani donne che indossano vestiti fatti a mano con materie prime locali usando tecniche antiche. Si interroga su quanto sia sviluppato il design dell’Angola oggi. Invita gli spettatori a pensare oltre le stampe africane come identità e design internazionale, tessuti che spesso sono prodotti in Europa da designer europei e successivamente venduti agli africani. È essenziale produrre e reinventare senza dimenticare i nostri costumi e tradizioni, enfatizzando il fatto che oggi non solo gli africani, ma tutto il mondo ha un forte desiderio di trovare autenticità in Africa per costruire modernità e tradizione. Esiste un limite al design in questo momento, gli antichi maestri angolani della tessitura non erano mai stati incoraggiati a reinventare e far rivivere le tradizionali tecniche, partendo da materiali trovati e poi sviluppati in Angola.
OSBORNE MACHARIA
“Il mio nome è Osborne Macharia, sono un fotografo commerciale e pubblicitario autodidatta, nato e cresciuto in Kenya con una laurea in architettura. Come fotografo commerciale ho avuto il privilegio di lavorare con alcuni dei migliori brand locali e internazionali, tra cui Coca Cola, Volkswagen, Samsung, Danone, Nestle, Cadburys, Forbes, Pepsi, Guinnes, Mercedes e Kenya Airways, oltre ad aver lavorato in agenzie internazionali da Londra, Cipro e Stati Uniti. Sono stato parte del team che ha vinto il primo Cannes Lion kenyota nel 2015, venendo poi incluso in pubblicazioni di rilievo e nuovi canali come CNN, BBC, Huffington Post, Adobe, Okay Africa, Afro Punk, Elle Magazine, Fubiz, Abaduzeedo, African digital arts, African Photography network e Behance Curated galleries. Il mio lavoro è stato anche mostrato in esposizioni a Londra, Addis, Roma, Austria e Rio. Ho anche realizzato una serie di workshop sull’illuminazione esterna chiamato Lightfreaks, che ambiva a sviluppare una nuova generazione di fotografi professionali con un occhio di riguardo al tema dell’illuminazione, con l’obiettivo di creare il loro stile unico”.
Kabangu
Guardiani di notte, appassionati di hip hop di giorno. Questa è la storia di quattro gentlemen nel cuore di Kariobangi (uno degli insediamenti informali di Nairobi) che si fanno chiamare Kabangu. Un gruppo di veri appassionati di hip hop dagli anni 80 si incontra regolarmente per educare e fare da mentori ai giovani nuovi talenti che si avventurano nell’industria dell’hip hop. Insegnano loro valori come la pace, l’equità, la prosperità e la giustizia sociale.
Nyanye
Questa è la storia della lega kenyana di nonne stravaganti, che negli anni Settanta erano capi d’azienda e di Governo, e adesso sono in pensione. Ora fanno la bella vita dei pensionati, viaggiando in zone esotiche e remote in un’Africa da esplorare, festeggiare e godere in modo esclusivo. Siamo riusciti a raggiungere tre di loro in Somalia poco dopo l’atterraggio. Poco si sa su di loro, fino ad oggi…
LOGO OLUWAMUYIWA
Nato a Lagos, Nigeria, nel luglio del 1990. Il lavoro di Oluwamuyiwa si concentra sulla fotografia in bianco e nero. Il suo approccio si rivolge verso la fotografia concettuale e di stile documentario. “Il mio interesse nella fotografia sta nell’allenare il mio occhio e la mia macchina fotografica ad essere accorti osservatori del carnevale umano, catturando persone, cose e storie da prospettive spesso trascurate, ignorate e date per scontate. Con la mia macchina fotografica dirigo l’attenzione dello spettatore verso queste cose. Lasciando che le fotografie parlino da sole, voglio testimoniare la realtà e anche ricreare a partire da questa realtà storie che permettano a chi guarda di disegnare la sua personale storia dalle immagini. Il mio lavoro più recente e più ampio è intitolato “Monochrome Lagos”, e può essere visto come un archivio digitale visuale che mostra un unico riflesso della città di Lagos – una denuncia delle sue stravaganze ed estetiche”. Logo vive e lavora a Lagos, in Nigeria.
Monochrome Lagos
A visual appreciation and expose of a city’s aesthetics and idiosyncrasies. Anche in quei giorni in cui la sua ironica generosità mi offre meno di 100$ per sopravvivere, nel mio tentativo di proseguire la carriera di artista full time, Lagos è per me quello che è New York per i fotografi come Gary Winnongrand, Robert Frank, Joel Meyerowitz e forse Robert Stanton del “Humans of New York”. Ho cominciato a fotografare Lagos cercando di catturare ciò che spesso è il richiamo mistico della città, la teatrale organizzazione e architettura di ogni cosa visibile, la poetica giustapposizione dei suoi residenti e di come si relazionano con la città e vice versa – Ma soprattutto cercando la bellezza nelle sue forme, linee, fantasie e trame, spogliando la città di una delle più ovvie caratteristiche: “il Colore”. Chiedendomi visualmente “Se tolgo il colore a Lagos, cosa troverò?”, ho assunto il ruolo di osservatore di questo grandioso carnevale umano, cercando di catturare tutto il visibile in un unico scatto dell’otturatore, cercando narrative e sfumature che connettessero e risuonassero, e servissero anche da fil rouge in mezzo alle fatiche. Il progetto è nato ed è condiviso principalmente tramite piattaforme virtuali (Tumblr e Instragram) e rappresenta un archivio di riferimento della città nonché un mezzo per venire incontro i residenti che hanno abbracciato la rivoluzione tecnologica. L’obiettivo ultimo del progetto è perfezionare un mutamento di paradigma rispetto a come la città è percepita e osservata da un’audience globale, e soprattutto dai propri abitanti, incoraggiando un’osservazione consapevole in un luogo in cui tutto avviene sempre di corsa.
JOANA CHOUMALI
Joana Choumali è una fotografa freelance nata nel 1974 e basata ad Abidjan (Costa d’Avorio). Ha studiato arti grafiche a Casablanca e lavorato come Art Director per McCann-Erickson ad Abidjan, prima di imbarcarsi nella sua carriera da fotografa. Attraverso la fotografia mette in primo piano l’uguale umanità di uomini e donne. Nei sui lavori più recenti esplora la complessa nozione della bellezza femminile, e dell’immagine del corpo nella società africana contemporanea.
Résilients
Joana Choumali, che nei suoi lavori indaga i temi dell’identità femminile, del rapporto della donna africana con le proprie tradizioni e del posto ad essa riservato nella società, si concentra in questo progetto sull’aspetto esteriore di queste tematiche: gli abiti tradizionali. Le donne ritratte nelle immagini di Joana sono donne moderne, professioniste emancipate, inserite e a proprio agio nella società contemporanea. Ad esse Joana ha chiesto di compiere un viaggio a ritroso nel passato della propria famiglia e recuperare gli abiti tradizionalmente utilizzati dalle donne delle precedenti generazioni, nei rispettivi villaggi o tradizioni culturali di provenienza.
Lasciati jeans, tailleurs e scarpe con i tacchi, ognuna di loro è stata ritratta con indosso gli abiti delle proprie ave. Ognuna delle sessioni di ritratto ha rappresentato un vero e proprio rituale, un momento quasi religioso, di raccoglimento, durante il quale ciascuna delle protagoniste si è liberata dei propri abiti, e con essi delle proprie abitudini, delle conquiste sociali, del proprio ruolo, per calarsi nei panni delle donne che le hanno precedute, talvolta di molti anni, o in alcuni casi solo di un paio di generazioni. Ogni immagine scattata è la reiterazione di un rituale, realizzato in una forma di cerimonia che richiama il Rinascimento per la meticolosa preparazione richiesta: per le laboriose acconciature, l’applicazione talvolta di pitture decorative, la complessità della vestizione o la necessità di agghindarsi con monili e gioielli (in uno dei ritratti, i gioielli utilizzati arrivano direttamente dal museo storico del villaggio dal quale proviene la famiglia della donna fotografata). Un gesto che può essere visto come una profanazione, indossare degli abiti che richiamano ruoli, scelte e tradizioni il più delle volte assolutamente sconosciute alle protagoniste dei ritratti, se non addirittura rinnegate, ma che nell’intimità dello studio fotografico assume la sacralità di un rito antico: quello della riscoperta, attraverso i gesti della vestizione, i tessuti e le acconciature, dell’indissolubile legame che accomuna ogni donna con le donne delle generazioni che le hanno precedute, ma soprattutto dell’importanza del contatto con le radici per costruire appieno la propria identità.